La recente pronuncia della Corte di Cassazione[1] offre una visione interpretativa interessante con riferimento alla configurabilità, in capo al responsabile dei processi amministrativi, dei reati tributari recentemente introdotti nel D. Lgs. 231/2001, con un importante assioma: diventa irrilevante la mancanza di prova circa l’apposizione della firma dell’indagato sulle dichiarazioni fiscali, in quanto non presenti in atti.
La questione si è articolata a seguito della pronuncia del Tribunale di Savona il quale, con propria Ordinanza[2], confermava il sequestro preventivo imposto, dal GIP del medesimo Tribunale, sui beni immobili intestati all’indagato, in relazione al reato di cui all’art. 2, D.Lgs. n. 74 del 2000.
In particolare, dalla pronuncia del Tribunale si estrapolano le seguenti considerazioni in ordine all’individuazione delle circostanze che possono determinare, anche senza l’apposizione della firma del Responsabile amministrativo sui documenti fraudolenti, l’ascrizione a quest’ultimo della responsabilità penale (e, conseguentemente, quella amministrativa della Società) per il reato di dichiarazione fraudolenta:
La configurabilità in capo alla Società dei reati commessi dalle figure apicali – anche non cristallizzate all’interno di un organigramma definito – può essere gestita o, quantomeno, mitigata, attraverso l’adozione di un Modello di organizzazione, gestione e controllo ai sensi del D. Lgs. 231/2001.
Nello specifico, il modello fornisce all’Azienda adottante una chiave organizzativa interna che passa attraverso la definizione dei ruoli all’interno dei processi aziendali, la stesura di procedure operative che ripercorrano ogni processo, la stesura di un codice etico il mancato rispetto del quale, diventa causa di risoluzione immediata dei contratti in essere con tutti gli stakeholders della Società, controlli di plurimo livello al fine della prevenzione della commissione degli illeciti previsti dal Decreto.