L'obbligo del vaccino anti Covid nel rapporto di lavoro - 1

condividi    

L'obbligo del vaccino anti Covid nel rapporto di lavoro - 1

Abbiamo il piacere di condividere un approfondimento sul tema vaccini e rapporto di lavoro di Roberto Riverso, consigliere della Corte di cassazione. Questo è il PRIMO appuntamento sul tema, ne seguiranno altri.

Il tema dei vaccini presenta profili particolarmente problematici nell'ambito del rapporto di lavoro. Rispetto alla soluzione drastica del licenziamento come reazione al rifiuto del lavoratore di vaccinarsi, la sospensione del rapporto nell'ambito della sorveglianza sanitaria, strategicamente orientata alla conservazione del rapporto, all'allontanamento dal rischio e ad una più appropriata logica promozioanle, può rappresentare la soluzione più congrua e razionale.

L'emergenza COVID
L'emergenza epidemiologica, con le sue varie fasi, mette in discussione i paradigmi regolatori del binomio, di per sè tragico, salute e lavoro.
Il rapporto tra dovere e diritto, tra regole pubblicistiche e privatistiche, tra responsbailità pubbliche e private, tra individuale e collettivo, tra esterno e interno nel rischio lavorativo, tutto sembra mescolarsi in una continua rimessa in gioco di priorità e gerarchie, cui è difficile assicurare, col progredire della pandemia, una esaustiva e duratura sistemazione a livello giuridico. Un piano che sembra interessato da una interna mutazione con la rilettura di principi, norme, categorie alla luce della situazione emergenziale.

L'arrivo del vaccino anti Covid, con la speranza dell'agognata liberazione, polarizza l'attenzione del giuslavorista sul profilo degli obblighi interni al rapporto di lavoro.

La duplice faccia del principio di solidarietà
Considerata la persistenza e l'aggressività del virus - nonostante "distanziamento sociale", mascherine e gli altri accordimenti fin qui messi in campo - sarebbe preferibile ovviamente un'adesione massiccia e spontanea al vaccino da parte di tutti i cittadini (lavoratori o meno); da ritenersi ad oggi, secondo la migliore scienza, come l'unica possibile via d'uscita dalla crisi pandemica. Occorrerebbe perciò, prima di ogni altra misura costrittiva, una vasta opera informativa (anche da parte delle organizzazioni sindacali) che preluda ad una prova di maturità collettiva (soprattutto da parte del mondo del lavoro) nell'ottica del principio di solidarietà, la cui essenza va considerata, non tanto come risvolto negativo alla concezione individualistica della libertà, bensì come idea più alta che si fonda sulla comunità e si realizza con l'assunzione di una responsabilità condivisa, in una dimensione di cabiamento e crescita sociale.(1)

(1) in questi termini v. A. Viscorni, Prefazione a S. Buoso, il principio di prevenzione e sicurezza sul lavoro, 2020.

Il tema dei vaccini è sempre stato un banco di prova delle potenzialità e della tenuta del principio di solidarietà (Corte cost. n. 27/1998 e n. 197/2012). Viene in rilievo la duplice faccia di un principio che si rivolge ad ogni individuo guardando all'interesse collettivo, ma impone alla collettività, e per essa allo Stato, di accordare protezione in ogni caso di sacrificio del diritto del singolo cittadino.

E' in nome del principio di solidarietà che la legge n. 210/1992 riconosce un indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicazioni di tipo irreversibile, non solo - va evidenziato -  quando si tratti di vaccinazioni obbligatorie, ma anche (fin dalla sua prima stesura) per le complicazioni da vaccinazioni solo necessarie "per motivi di lavoro" (art. 1, comma 4: "persone che, per motivi di lavoro o per incarico del loro ufficio o per poter accedere ad uno Stato estero, si siano sottoposte a vaccinazioni che, pur non essendo obbligatorie, risultino necessarie").

In seguito, la stessa protezione è stata assicurata dalla Corte costituzionale (sentenza n. 107/2012) "in un contesto di irrinunciabile solidarietà" in tutti i casi di vaccinazioni raccomandate dalle autorità sanitarie (es. previa campagna di sensibilizzazione) a prescindere dall'obbligatorietà del vaccino o dall'esistenza di motivi di lavoro. La Corte ha precisato che "sarebbe, infatti, irragionevole che la colletività possa, tramite gli organi competenti, imporre o anche solo sollecitare comportamenti diretti alla protezione della salute pubblica senza che essa poi non debba reciprocamente rispondere delle conseguenze pregiudizievoli per la salute di coloro che si sono uniformati" (Corte cost. n. 107/2012).

Sul piano del principio di solidarietà non ha quindi rilievo alcuno che la vaccinazione sia obbligatoria o sia solo consigliata. 

di Roberto Riverso, consigliere della Corte di cassazione
L'approfondimento proseguirà con maggio dettagli nelle prossime news.

Iscriviti alla newsletter!