Il tema dei vaccini presenta profili particolarmente problematici nell'ambito del
rapporto di lavoro. Rispetto alla soluzione drastica del licenziamento come reazione
al rifiuto del lavoratore di vaccinarsi, la sospensione del rapporto
nell'ambito della sorveglianza sanitaria, strategicamente orientata
alla conservazione del rapporto, all'allontanamento dal rischio e ad una più
appropriata logica promozioanle, può rappresentare la soluzione più congrua
e razionale.
L'emergenza COVID
L'emergenza
epidemiologica, con le sue varie fasi, mette in discussione i paradigmi regolatori
del binomio, di per sè tragico, salute e
lavoro.
Il rapporto tra dovere e diritto, tra regole pubblicistiche
e privatistiche, tra responsbailità pubbliche e private, tra individuale e
collettivo, tra esterno e interno nel rischio lavorativo, tutto sembra mescolarsi in
una continua rimessa in gioco di priorità e gerarchie, cui è difficile assicurare,
col progredire della pandemia, una esaustiva e duratura sistemazione a livello
giuridico. Un piano che sembra interessato da una interna mutazione con la rilettura
di principi, norme, categorie alla luce della situazione
emergenziale.
L'arrivo del vaccino anti Covid, con la
speranza dell'agognata liberazione, polarizza l'attenzione del giuslavorista sul
profilo degli obblighi interni al rapporto di lavoro.
La duplice
faccia del principio di solidarietà
Considerata la persistenza e
l'aggressività del virus - nonostante "distanziamento sociale", mascherine e gli
altri accordimenti fin qui messi in campo - sarebbe preferibile ovviamente
un'adesione massiccia e spontanea al vaccino da parte di tutti i cittadini
(lavoratori o meno); da ritenersi ad oggi, secondo la migliore scienza, come l'unica
possibile via d'uscita dalla crisi pandemica. Occorrerebbe perciò, prima di ogni
altra misura costrittiva, una vasta opera informativa (anche da parte delle
organizzazioni sindacali) che preluda ad una prova di maturità collettiva
(soprattutto da parte del mondo del lavoro) nell'ottica del principio
di solidarietà, la cui essenza va considerata, non tanto come risvolto negativo alla
concezione individualistica della libertà, bensì come idea più alta che si fonda
sulla comunità e si realizza con l'assunzione di una responsabilità
condivisa, in una dimensione di cabiamento e crescita
sociale.(1)
(1) in questi termini v. A. Viscorni, Prefazione a S. Buoso, il
principio di prevenzione e sicurezza sul lavoro, 2020.
Il tema dei vaccini è
sempre stato un banco di prova delle potenzialità e della tenuta del principio di
solidarietà (Corte cost. n. 27/1998 e n. 197/2012). Viene in rilievo la duplice
faccia di un principio che si rivolge ad ogni individuo guardando all'interesse
collettivo, ma impone alla collettività, e per essa allo Stato, di accordare
protezione in ogni caso di sacrificio del diritto del singolo cittadino.
E'
in nome del principio di solidarietà che la legge n. 210/1992 riconosce un
indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicazioni di tipo irreversibile,
non solo - va evidenziato - quando si tratti di vaccinazioni obbligatorie, ma
anche (fin dalla sua prima stesura) per le complicazioni da vaccinazioni solo
necessarie "per motivi di lavoro" (art. 1, comma 4: "persone che, per
motivi di lavoro o per incarico del loro ufficio o per poter accedere ad uno Stato
estero, si siano sottoposte a vaccinazioni che, pur non essendo obbligatorie,
risultino necessarie").
In seguito, la stessa protezione è stata assicurata
dalla Corte costituzionale (sentenza n. 107/2012) "in un contesto di irrinunciabile
solidarietà" in tutti i casi di vaccinazioni raccomandate dalle autorità sanitarie
(es. previa campagna di sensibilizzazione) a prescindere dall'obbligatorietà del
vaccino o dall'esistenza di motivi di lavoro. La Corte ha precisato che "sarebbe,
infatti, irragionevole che la colletività possa, tramite gli organi competenti,
imporre o anche solo sollecitare comportamenti diretti alla protezione della salute
pubblica senza che essa poi non debba reciprocamente rispondere delle conseguenze
pregiudizievoli per la salute di coloro che si sono uniformati" (Corte cost. n.
107/2012).
Sul piano del principio di solidarietà non ha quindi
rilievo alcuno che la vaccinazione sia obbligatoria o sia solo
consigliata.
di Roberto Riverso, consigliere della Corte
di cassazione
L'approfondimento proseguirà con maggio dettagli nelle prossime
news.